Remigio Feltrin

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L’intensità è la condizione con la quale Monica Ferrando scova, tra gli innocenti oggetti della natura, un cosmo perso, ordinato, vicino.

Lontananze come possibili polifonie di colore e desiderio, di paura e ricordo. Lo studio attraverso grandi maestri come Poussin o Vermeer, ha permesso alla Ferrando di toccare con mano la possibilità di una quasi perfetta adesione tra la filosofia e il disegno. L’empirismo di queste due discipline rende il suo pensiero libero di lavorare in più direzioni. Ma l’adesione è supportata anche da una grande autonomia: il segno, la grafia dell’immagine sono sempre più definiti, più decisi. Lo stesso vale per il pensiero estetico, per il linguaggio delle cose, dove lo spazio delle parole e delle idee diventa un regno. Il contatto con il mondo artistico tedesco e il coinvolgimento nell’essere testis del creato, la pone in una posizione favorevole per comprendere il senso presente dell’arte. Indubbiamente la formazione filosofico-figurativa cerchia con evidenza ogni possibilità interpretativa della sua opera, che si rivela talvolta come pacata poesia, altre volte come canto figurativo.

La ricerca di una poetica chiara e percorribile, quando segno, forma e colore si legano in modo umano e naturale sono la strada percorsa dalla Ferrando. Lei raccoglie un pensiero più piccolo, quasi invisibile all’occhio, perché sottratto alla comunicazione estetica: l’intimità.

Il legame con il paesaggio ( Paesaggi rupestri, Il lago di Bolsena) si impone come dialogo intimo tra l’invisibile e la sua rappresentazione, non si tratta di un gioco, ma di una laconica educazione al vedere.

Fondamentalmente per il linguaggio della Ferrando è che questo possa realmente permettere agli oggetti della sua ricerca di contrapporsi e di trovare un’equilibrio atteso, intatto e totale. Tra i suoi interessi c’è un effettivo legame con la presenza di un corpo, sia che si manifesti come natura che come uomo, come linea, come colore, come paesaggio.

L’artista descrive in modo immutabile un nuovo percorso nella geografia dell’arte, una strada stretta e sicura, esposta alla corrosione del segno, all’illusione di un oltre. E come Platone nel Teeteto, anche l’opera della Ferrando nasce da un semplice stupore.