Ruggero Savinio

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Di Monica ho sentito parlare la prima volta dal filosofo Gianni Carchia. Di Gianni Monica si apprestava a diventare la sposa, e lo fu fino all’ultimo, quando Gianni Carchia, dopo una lunga malattia, ci ha lasciato.
Il mio amico mi mostrava le pitture di Monica. Erano, se ricordo bene, pitture su carta, acquarelli, nate sotto il segno, mi parve, di Klee, intime e segrete.
Poi ho potuto seguire il lavoro di Monica. Vivevamo a poca distanza, io a Cetona, Gianni e Monica a Montepulciano. La segretezza e l’introversione avevano ceduto a una franchezza nuova. Adesso Monica affrontava la pittura. Per questo sforzo chiedeva aiuto a una tradizione che, in gran parte, era la mia. Vedevo, nel suo studio, certe copie da Poussin, e Poussin, mi ha detto lei durante il nostro ultimo incontro, è ancora il suo maestro ideale. C’era, poi, un pittore per il quale io nutrivo allora una venerazione speciale, Hans von Marées. Mi sentivo vicino in tutto a questo maestro segreto di una modernità mai nata: al suo rovello di pittore e di uomo aggrovigliato e infelice. Facevo mie certe sue dichiarazioni che illuminano la parte d’ombra e di sporco alla quale credevo di votarmi: “io, come Rembrandt, dipingo con lo sterco”.
Dato che Monica, per la sua cultura filosofica, conosce il tedesco, le chiesi di tradurmi certe pagine su Marées. Scopersi allora il passo di una lettera a Fiedler, che racchiude il segreto della pittura di Marées, e della pittura in genere. Dice, più o meno, così: I pittori moderni cominciano dalla fine, dall’immagine, e così facendo perdono l’essenziale. Quello che lui chiama immagine, o apparenza, deve venire, invece, alla fine di un percorso buio e cieco; nascere “come una creatura da un feto”.
In questi anni ho visto le immagini di Monica nascere dalla lenta gestazione che le porta dal buio alla luce. Sono immagini che conservano il peso della materia, e, per avanzare subito la parola, conservano anche la memoria.
Memoria, prima di tutto, della pittura, e poi memoria della vita e dei luoghi. Come quelli dove Monica ha scelto di vivere da qualche tempo, una Tuscia incisa da forre, costellata di necropoli, abitata dai morti e dagli dei, che Monica accoglie, con tranquilla ospitalità, nei suoi quadri.

in: Amici pittori. Una mostra a cura di Ruggeri Savinio, Galleria Ceribelli, Lubrina Editrice, Bergamo, 2010