Paolo Nifosì

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Paolo Nifosì

Anch’io ho vissuto in Arcadia

 

E’ il rosso, il colore rosso, l’imprinting che mi ritorna riguardo alla selezione delle opere che Monica Ferrando esporrà a Scicli, nelle due sale del Movimento culturale Vitaliano Brancati. Il rosso un colore difficile nella lunga durata, eppur resistente negli affreschi della Villa dei Misteri pompeiani a tal punto da diventare emblematico come colore, il rosso che dall’Espressionismo a buona parte del Novecento è stato sempre più usato come colore locale. Se questo è stato il primo approccio, quel rosso di una parete, quel rosso delle melagrane, rosso sempre allusivo, fortemente connotato, ritornando con più calma ed attenzione alle sue opere mi accorgo che i suoi sono colori densi ed intensi; dai blu cobalto, ai verdi ai grigi, colori spesso umbratili frutto di una frequentazione intensa dei boschi, delle colline toscane, quando non intervengano viaggi ed esperienze in altri luoghi dal nord al sud dell’Europa. Nel suo fare trovo un senso di leggerezza, talvolta di immediatezza, quasi a voler fare una variazione su tema
di uno spartito già scritto, già strutturato e consolidato. La sua pittura, i suoi pastelli dicono di una serie di racconti che possono compendiarsi come unico percorso della sua vita, della complessa relazione con quanto la circonda, a partire dagli spazi interni frequentati, “ all’amore per la natura che ci sta intorno, da scrutare e da trascrivere” per rubare un pensiero a Faulkner, ai miti letti e riletti come mondo immaginario che ha popolato e continua a popolare la terra, ai pittori amati, da Ruggero Savinio, a Mattioli, a Morlotti, ai pittori storici da Poussin ad Hans von Marèe, a Pouvis de Chevannes.

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Per un verso gli spazi quotidiani, i fiori, nature morte,una natura frequentata per l’altro verso l’attenzione al mito. Penso per assonanza al saggio di Panofsky che ha per titolo: “Et in arcadia ego”: Poussin e la tradizione elegiaca. All’interpretazione virgiliana a “ quella serotina mescolanza di tristezza e di quiete”, con l’Arcadia che diventa “ un rifugio in cui sfuggire non solo una realtà corrotta, ma anche, e ancora più, un presente incerto”. Il suo racconti ci dicono l’amore per la pittura e un rifiuto per l’avanguardia, un’idea dell’arte coincidente con la bellezza del creato, per le cose semplici, per un’attenzione ravvicinata agli oggetti quotidiani, alla primavera che ritorna,
alla variegata ed affascinate bellezza di quanto ci circonda, senza infingimento, senza sofisticazioni intellettuali, e poi i miti, quanto
di più naturale gli uomini sono riusciti a sublimare per animare
e sognare. Forse l’arte oggi è anche altro, ma sicuramente è anche quello che la Ferrando ci propone.