Nunzio Giustozzi

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“La ritrosia che ha la materia della visione o del sogno ad affiorare; e il fervore e il prendere consistenza pittorica di quell’indugio; l’incanto di quella riluttanza a manifestarsi: tutto questo che è proprio dell’arte e della spiritualità di Monica Ferrando ritrovo in questo pozzo di luce e di ombra in cui l’una e l’altra aspirano alla chiarezza senza perdere il segreto, senza violare il mistero da cui promanano. Masse, figure, rimandi, tutti i fattori della composizione sono esposti alla vicenda discreta, introflessa, ma soprattutto intima del colore – linguaggio della realtà o dell’anima? della realtà e dell’anima, dell’anima in quanto della realtà vera –  sempre allo stato nascente… Che l’artista preservi per sé e per noi questi privilegi”. Esegesi profonda e leggera come la poesia quella di Mario Luzi dell’opera di Monica Ferrando: artista cosmopolita, filosofa e saggista, laureatasi a Torino con Gianni Vattimo su La grazia come categoria estetica, concetto che permea la sua rabdomantica ricerca pittorica fatta di incontri decisivi, di lunghi periodi di studio e di contemplazione. Dopo un avvio antinaturalistico con le sue rigorose, claustrofobiche geometrie d’interni, nelle sue tele trasferisce la vibrante energia del segno intimamente assimilata, come i formati, dalla maniera orientale. La ‘sua’ natura comincia intanto a caricarsi di quella componente mitica che le deriva dall’approfondita conoscenza della cultura greca: a Kore è dedicata la sua prima personale presentata in catalogo da Ruggero Savinio e sempre alla ‘ragazza’ una serie di lavori sui ‘misteri’ confluiti in un bel libro pensato insieme a Giorgio Agamben. Una visione arcadica della natura traspare chiaramente dai paesaggi come quelli composti nell’atelier di Vetralla tradotti tra luce e ombra in un sempre più sapiente uso del pastello che grazie a una spessa tessitura di colori rende velluto quegli impalpabili fogli di carta carbone. Una tecnica sofisticata che impreziosisce anche la nutrita serie di nature morte in mostra – ‘vite silenti’ come ama chiamarle l’autrice – simbolici svelamenti di un mondo indicibile come le apparizioni dei più recenti ori.

[Nunzio Giustozzi]