Enrico Guidoni

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Alle classiche visioni dei paesaggi e – si direbbe- legittimati da solide presenze mitologiche si è aggiunto, nell’ultima produzione di Monica Ferrando, una componente di più ravvicinato contatto con la realtà, un arricchimento tematico coerente con un’esperienza linguistica matura e riconoscibile.

Forse per questo si sente ormai superflua quella radice intellettuale che chiaramente non interferisce con l’occhio e con la mano dell’artista, ma cui si può attingere solo dopo attenta riflessione: e se l’autrice parte, in questa sua personale, dalla triade eleusina è per ribadire l’assoluto mistero che avvolge la creatività.
Al Genio del luogo – riassunto nella figura della Ninfa Amaltea – Cristoforo Madruzzo aveva dedicato la sua nuova dimora di Soriano con la Fonte di paracqua, propizia allo studio e al riposo.
L’occhio vede Giorgione, le nuvole scolpite della pittura rinascimentale e i tronchi degli alberi mai diritti proiettati a dividere lo spazio ancora secondo geometrie sia pure curve, la luce parsimoniosa schiarisce e fa brillare i colori solo in pochi punti-chiave e oscure presenze sono suggerite dalle forme prettamente concluse.
Così lo spazio si amplia talmente verso il primo piano da trasmettere un effetto lenticolare capace di attrarre verso un punto lontano che può essere lago, montagna, nuvola, filare d’alberi o leopardiana siepe, oltre la quale chi sa quale misteriosi altri paesaggi attendono di essere umanamente inventati.
Nella magia del primo piano e del controluce l’attrazione è sempre per quel centro simmetrico rispetto al quale il rettangolo sfrangiato della superficie prescelta si rispecchia come una scelta obbligata e assoluta, tanto per ribadire che il frammento è sempre il tutto, e che tra uomini e natura non c’è diversità.
Il passaggio ai ritratti “vetrallesi”- che potrebbero essere tutti autoritratti, se la pittura fosse evoluzione interna delle persone – si gioca tutto sugli scarti di simmetria, sulle accentuazioni luminose che ora dolcemente ora meno dolcemente intagliano i profili, sul contrasto sempre forti tra campi di colori; e non si può fare a meno di pensare che un terzo occhio tra il naso e la fronte, ci guardi.
Camminare nel mondo di Monica significa, al poli opposto di qualsiasi esperienza di computer grafica o di puzzle o di esercizi stilistici o alla moda, doversi fare per vivere materia e cose di persone e paesaggi e monumenti impastarsi in un aria spessa e greve, essere toccati dall’oro del sole che risuscita e in definitiva essere invitati a riflettere su tante cose raccontate da chi le ha effettivamente sperimentate e le esprime realmente cos’ come sono.